Ucraina, cinque donne ad alta quota

16 Ottobre 2017

La vicecampionessa mondiale Levchenko e altre quattro connazionali tra le migliori 30 al mondo nel 2017, per proseguire una tradizione che parte da lontano

di Giorgio Cimbrico

Nel salto in alto non c’è di meglio dell’Ucraina. La scoperta, se di scoperta si può parlare, nasce da quella che sembrava una fuggevole, quasi distratta osservazione: cinque saltatrici, tutte meno una, giovani e giovanissime bene inserite nelle liste mondiali dell’anno e capaci di conquistare il secondo posto mondiale (provocando a 2,01 qualche passeggero tremore all’implacabile Mariya Kuchina-Lasitskene) e l’Europeo under 23 con la deliziosa Yuliya Levchenko, appena proclamata Rising Star 2017 dell’atletica continentale, con la sedicenne Yaroslava Mahuchikh il titolo mondiale dei giovani, con Oksana Okuneva l’Universiade di Taipei. Quasi uno Slam.

Tutto questo è ancor fresco di cronaca ma il salto in alto ucraino è una faccenda con solide fondamenta storiche, con una collezione di titoli e di piazzamenti impressionante, con una graduatoria nazionale da brividi: Sergey Dymchenko con 2,37 è il sesto ucraino incuneato tra i primi 45 di sempre. Davanti, solo la Russia e gli Stati Uniti, con sette atleti; dietro, Germania con 4.

A questo punto è bene svelare chi sta davanti a Dymchenko: Bohdan Bondarenko 2,42, Rudolf Povarnitsyn primo a scavalcare un’asticella posta a 2,40, Andriy Protsenko 2,40, Gennadiy Avdeyenko 2,38, Andriy Sokolovskyy 2,38.

Tutto cominciò con Valeriy Brumel, siberiano di nascita ma ucraino per residenza e per formazione sportiva (sotto la guida di Piotr Stein) dopo che i genitori geologi si trasferirono nella mineraria Lugansk (allora Voroshilovgrad) dove qualche anno dopo avrebbe visto la luce Sergey Bubka, altro famoso assaltatore di asticelle e scavalcatore di cancelli del cielo. Di Brumel è inutile narrare per l’ennesima volta storia e tragedia: rimangono i sei record mondiali (sino al prodigioso 2,28 di 54 anni or sono), l’argento di Roma, l’oro di Tokyo, il rimpianto per il mancato faccia a faccia tra il più sublime interprete del ventrale e Dick, inventore del Fosbury.

I finali lieti spesso non sono contemplati in queste vicende: è il caso dell’ultimo grande interprete dello scavalcamento classico Volodja Yashchenko, scomparso prima di toccare i 40 anni, sconfitto da quel diavolo che, come in un racconto di Stevenson, è chiuso dentro la bottiglia. L’angelico e diabolico Volodja, che quasi 40 anni fa entusiasmò il pubblico di Milano dopo esser andato a catturare il record del mondo a Richmond, Virginia, veniva da Zaporozhye, la capitale dell’etnia dei cosacchi, guerrieri, scorridori, allevatori di cavalli.

Nell’estate dell’83, alla vigilia dei primi Mondiali, Igor Ter-Ovanesyan, ct dell’Urss, optò per schierare a Helsinki due giovanissimi, entrambi nati sul finire del ’63 e così non ancora ventenni: uno era Bubka, l’altro Gennadiy Avdeyenko, nato a Odessa, sul Mar Nero, caldamente raccomandato dal tecnico di settore Kestusis Shapka, campione europeo nel ’71 proprio a Helsinki. Le scelte si rivelarono azzeccate. Con 2,32 e 5,70 Gennadiy e Sergey freddarono la concorrenza.

Avdeyenko, biondone dai grandi piedi, sapeva dare il meglio nelle grandi occasioni anche se spesso non gli andava bene: ai Mondiali indoor di Indianapolis si elevò a 2,38 ma alla stessa quota venne piegato da Igor Paklin. Qualche mese dopo, a Roma, replicò la misura nella gara che vide la spartizione delle medaglie dopo l’esame dell’andamento dei turni di salto: titolo a Patrick Sjoberg e doppio secondo posto per l’ucraino e il kirghiso. L’anno dopo, a Seul, un ennesimo 2,38 risultò finalmente buono per l’oro, quello olimpico, nella gara che decretò il trionfo del salto in alto ucraino: primo Gennadiy, terzo Rudolf Povarnitsyn, dotato di uno dei più acuti pomi d’Adamo che si possano ricordare.

Prima del successo mondiale e moscovita di Bohdan Bondarenko, un inaspettato titolo era stato portato in Ucraina da Jurij Krymarenko, un Carneade che sotto la pioggia incessante di Helsinki 2005 ebbe l’occasione e a 2,32 non la buttò. La chance venne offerta dalla sorte anche a Nicola Ciotti ma il romagnolo non ne seppe approfittare.

Lo spunto è stato dettato dalle donne e anche il capitolo da dedicare alle loro imprese è di spessore, a cominciare dalle medaglie di bronzo olimpiche, a Tokyo ’64 e a Mexico ’68, di Taisia Chenchik e di Valentyna Kozyr, allora in maglia Urss: sei si sono spinte oltre i 2,00 e la pattuglia continua a essere guidata con 2,05 dalla sottile e bionda Inha Babakova, 50 anni quattro mesi fa. Come Brumel, Inga non è nata in Ucraina (nel suo caso, Turkmenistan), ma quel paese ha sempre rappresentato, Tokyo ’91 a parte, infilando una lunga collana di presenza sul podio: ai Mondiali, una vittoria, due secondi posti, due terzi, alle Olimpiadi un bronzo. Alle sue spalle, Viktoriya Styopina (bronzo olimpico ad Atene) 2,02, Vita Palamar 2,01, Iryna Mykhalchenko 2,01, Lyudmila Avdeyenko 2,00. Alla quota di 2,01 si è aggiunta Yuliya Levchenko, classe ’97 e vicecampionessa del mondo a Londra.


SALTO IN ALTO FEMMINILE: L’UCRAINA NEL 2017

    PB SB  
Yuliya Levchenko 1997 2,01 2,01 argento Mondiali, bronzo Europei indoor, oro Europei U23
Oksana Okuneva 1990 1,98 1,97 oro Universiadi
Iryna Gerashchenko 1995 1,95 1,95 argento Europei U23, argento Universiadi
Kateryna Tabashnyk 1994 1,95 1,95  
Yaroslava Mahuchikh 2001 1,92 1,92 oro Mondiali U18


SEGUICI SU: Instagram @atleticaitaliana | Twitter @atleticaitalia | Facebook www.facebook.com/fidal.it



Condividi con
Seguici su: